mercoledì 1 ottobre 2014

1302 Condanne ed esilio di Dante.




"Libro del Chiodo: le condanne all’esilio

Col titolo Libro del Chiodo si identifica un imponente codice pergamenaceo risalente alla fine del XIV secolo conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, nel Fondo dei capitani di Parte guelfa del periodo repubblicano. La denominazione vulgata si riferisce ad un grosso chiodo che si trova infisso sull’asse posteriore di legatura, mentre all’interno di quello anteriore si legge l’indicazione: “Libro delle condanne delle famiglie ribelli del Comune di Firenze dal 1302 al 1379 detto del Chiodo”.

Il volume raccoglie, dunque, copie delle sentenze emesse contro i Bianchi dal comune fiorentino nel periodo dal 18 gennaio al 26 luglio 1302, cui si aggiungono altre sentenze emesse contro i Ghibellini nel 1268 e altri documenti comunali di varie date.

Il manoscritto deve però la sua fama al fatto che contiene i testi delle due sentenze pronunciate il 27 gennaio e il 10 marzo del 1302 dal notaio della curia del podestà, Cante dei Gabrielli da Gubbio, contro i Bianchi fiorentini, tra i quali Dante Alighieri. Il poeta e i suoi compagni, con la prima sentenza, sono condannati in contumacia per il reato di baratteria al confino per due anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ad una multa di 5000 fiorini da pagare entro tre giorni, pena l’esproprio dei propri beni. La seconda sentenza del 10 marzo, permanendo la contumacia degli accusati, che non avevano dato alcun riscontro alle precedenti ingiunzioni del podestà, riconferma il reato e condanna Dante e gli altri bianchi, qualora fossero rientrati a Firenze, al rogo: “se qualcuno dei predetti giungerà in un qualsiasi momento tra le mura del comune di Firenze, sia condannato al rogo così che muoia”[1]."

Il libro del chiodo, Riproduzione in fac-simile con edizione critica 
a cura di Francesca Klein, Firenze, Polistampa, 2004.


I primi anni dell’esilio (1302-1310)

Dopo l’ambasceria romana presso Bonifacio VIII non si sa se Dante sia rientrato a Firenze e poi fuggito prima delle condanne del 1302, o se, avendo previsto gli sviluppi della situazione, non abbia più fatto ritorno in patria. Lacunosa è la documentazione sugli anni dell’esilio, che rappresentò però certamente una svolta decisiva nella biografia dell’autore, condizionandone fortemente anche gli sviluppi ideologici. Fino ai primi mesi del 1304, Dante partecipò alle azioni dei fuoriusciti Bianchi e dei Ghibellini per organizzare una spedizione militare contro i Neri ormai al potere a Firenze. Sottoscrisse, infatti, nel giugno del 1302, a San Godenzo al Mugello, l’impegno a risarcire gli Ubaldini, potenti signori locali, degli eventuali danni che potevano derivargli da una guerra contro Firenze; fu poi, nel 1303, prima a Forlì, ospite di Scarpetta degli Ordelaffi, e poi a Verona da Bartolomeo della Scala per sollecitare appoggi alla causa dei Bianchi. La morte nel 1304 di Bonifacio VIII e l’invio a Firenze come “paciaro” del cardinale Nicolò da Prato, cui Dante spedirà la sua I Epistola, accendono le speranze di una soluzione pacifica, fallita però per l’intransigenza dei Neri. In tale congiuntura si matura la frattura tra Dante, che decide di far “parte per se stesso”, e gli altri fuoriusciti propensi a tentare comunque un’avventurosa soluzione militare, che si tradurrà nella rovinosa Battaglia della Lastra. Dalla seconda metà del 1304 cominciano le peregrinazioni di Dante attraverso le corti dell’Italia centro-settentrionale: fu prima a Treviso, ospite di Gherardo da Camino, poi nel 1305 a Bologna, nel 1306 a Padova, a Venezia, nella marca Trevigiana, per approdare alla fine dello stesso anno in Lunigiana dai conti Malaspina. Ospite di Guido da Battifolle nel Casentino, durante il 1307, passerà poi a Lucca, ospite forse di una Gentucca, ricordata in Purg., XXIV 37. Tra il 1309 e il 1310 si potrebbe invece collocare il “leggendario” viaggio a Parigi.