"Libro del Chiodo: le condanne all’esilio
Col titolo Libro del Chiodo si identifica un imponente codice pergamenaceo
risalente alla fine del XIV secolo conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, nel Fondo dei capitani di Parte guelfa del periodo repubblicano. La denominazione vulgata si riferisce ad
un grosso chiodo che si trova infisso sull’asse posteriore di legatura, mentre
all’interno di quello anteriore si legge l’indicazione: “Libro delle condanne delle famiglie ribelli del Comune di Firenze dal
1302 al 1379 detto del Chiodo”.
Il volume raccoglie, dunque,
copie delle sentenze emesse contro i Bianchi dal comune fiorentino nel periodo
dal 18 gennaio al 26 luglio 1302, cui si aggiungono altre sentenze emesse
contro i Ghibellini nel 1268 e altri documenti comunali di varie date.
Il manoscritto deve però la sua
fama al fatto che contiene i testi delle due sentenze pronunciate il 27 gennaio e il 10 marzo del 1302 dal
notaio della curia del podestà, Cante dei Gabrielli da Gubbio, contro i Bianchi
fiorentini, tra i quali Dante Alighieri. Il poeta e i suoi compagni, con la
prima sentenza, sono condannati in contumacia per il reato di baratteria al confino per due anni, all’interdizione perpetua dai pubblici
uffici e ad una multa di 5000 fiorini da pagare entro tre giorni, pena
l’esproprio dei propri beni. La seconda
sentenza del 10 marzo, permanendo la contumacia
degli accusati, che non avevano dato alcun riscontro alle precedenti
ingiunzioni del podestà, riconferma il reato e condanna Dante e gli altri
bianchi, qualora fossero rientrati a Firenze, al rogo: “se qualcuno dei predetti
giungerà in un qualsiasi momento tra le mura del comune di Firenze, sia
condannato al rogo così che muoia”[1]."
Il libro del chiodo, Riproduzione in fac-simile con edizione critica
a cura di Francesca Klein, Firenze, Polistampa, 2004.
I primi anni
dell’esilio (1302-1310)
Dopo l’ambasceria romana presso Bonifacio VIII non si sa se Dante sia
rientrato a Firenze e poi fuggito prima delle condanne del 1302, o se, avendo previsto gli sviluppi della situazione, non
abbia più fatto ritorno in patria. Lacunosa è la documentazione sugli anni
dell’esilio, che rappresentò però certamente una svolta decisiva nella
biografia dell’autore, condizionandone fortemente anche gli sviluppi
ideologici. Fino ai primi mesi del 1304,
Dante partecipò alle azioni dei fuoriusciti Bianchi e dei Ghibellini per
organizzare una spedizione militare contro i Neri ormai al potere a Firenze.
Sottoscrisse, infatti, nel giugno del 1302, a San
Godenzo al Mugello, l’impegno a risarcire gli Ubaldini, potenti signori
locali, degli eventuali danni che potevano derivargli da una guerra contro
Firenze; fu poi, nel 1303, prima a Forlì, ospite di Scarpetta degli Ordelaffi, e poi a Verona da Bartolomeo della
Scala per sollecitare appoggi alla causa dei Bianchi. La morte nel 1304 di
Bonifacio VIII e l’invio a Firenze come “paciaro” del cardinale Nicolò da
Prato, cui Dante spedirà la sua I Epistola, accendono le speranze di una
soluzione pacifica, fallita però per l’intransigenza dei Neri. In tale
congiuntura si matura la frattura tra Dante, che decide di far “parte per se
stesso”, e gli altri fuoriusciti propensi a tentare comunque un’avventurosa
soluzione militare, che si tradurrà nella rovinosa Battaglia della Lastra.
Dalla seconda metà del 1304 cominciano le peregrinazioni di Dante attraverso le
corti dell’Italia centro-settentrionale: fu prima a Treviso, ospite di Gherardo
da Camino, poi nel 1305 a Bologna, nel 1306 a Padova, a Venezia, nella marca
Trevigiana, per approdare alla fine dello stesso anno in Lunigiana dai conti Malaspina. Ospite
di Guido da Battifolle nel Casentino,
durante il 1307, passerà poi a Lucca, ospite forse di una Gentucca,
ricordata in Purg., XXIV 37. Tra il 1309 e il 1310 si potrebbe invece collocare
il “leggendario” viaggio a Parigi.