domenica 9 marzo 2014

Montale, Ossi di seppia, ed. Mondadori



Giunge a volte, repente
di Eugenio Montale, da Ossi di Seppia, sez. Mediterraneo.


Giunge a volte, repente,
un’ora che il tuo cuore disumano
ci spaura e dal nostro si divide.
Dalla mia la tua musica sconcorda
allora, ed è nemico ogni tuo moto.
In me ripiego, vuoto
di forze, la tua voce pare sorda.
M’affisso nel pietrisco
che verso te degrada
fino alla ripa acclive che ti sovrasta,
franosa, gialla, solcata
da strosce d’acqua piovana.
Mia vita è questo secco pendio
mezzo non fine, strada aperta a sbocchi
di rigagnoli, lento franamento.
E’ dessa ancora questa pianta
che nasce dalla devastazione
e in faccia ha i colpi del mare, ed è sospesa
fra erratiche forze di venti.
Questo pezzo di suolo non erbato
s’è spaccato perché nascesse una margherita.
In lei titubo al mare che mi offende,
manca ancora il silenzio nella mia vita.
Guardo la terra che scintilla,
l’aria è tanto serena che s’oscura.
E questa che in me cresce
è forse la rancura
che ogni figliolo, mare, ha per il padre.


L'agave su lo scoglio

                                            Scirocco

O rabido ventare di scirocco
che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.


(Eugenio Montale, Ossi di seppia; Meriggi e ombre)

           

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