lunedì 16 dicembre 2013

Palazzeschi ( Firenze 1885 - Roma 1984)


Fonte Wikipedia: Il periodo futurista



In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell'uso del verso libero. Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista "Poesia". Pubblicherà la raccolta di poesie l'Incendiario. Qui si ritrova lo scherzoso componimento E lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato.

Il 1911 è l'anno del romanzo Il codice di Perelà. Segue il manifesto del Controdolore nel 1914 che era apparso in precedenza sulla rivista Lacerba fondata da Giovanni Papini e Ardengo Soffici in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce.

Palazzeschi inizia dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all'appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo.

In ogni caso, l'interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l'entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti. Infatti, la vitalità esasperata del movimento lo rendeva scettico; presumibilmente, essa non corrispondeva pienamente al suo carattere, in un certo senso provocatorio ma non necessariamente aggressivo. Alla vigilia della grande guerra i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutralista e si oppose dunque all'intervento dell'Italia nel primo conflitto mondiale che veniva invece propagato dal movimento futurista dei marinettiani. Una tale discrepanza non poteva significare che il distacco definitivo.

In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé. Si avvicinò all'ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista.

L’INCENDIARIO
A F. T. Marinetti
anima della nostra fiamma.

In mezzo alla piazza centrale
del paese,
è stata posta la gabbia di ferro
con l’incendiario.
Vi rimarrà tre giorni
perchè tutti lo possano vedere.
Tutti si aggirano torno torno
all’enorme gabbione,
durante tutto il giorno,
centinaia di persone.
‒ Guarda un pochino dove l’anno messo!
‒ Sembra un pappagallo carbonaio.
‒ Dove lo dovevano mettere?
‒ In prigione addirittura.
‒ Gli sta bene di far questa bella figura!
‒ Perchè non gli avete preparato
un appartamento di lusso,
così bruciava anche quello!
‒ Ma nemmeno tenerlo in questa gabbia!
‒ Lo faranno morire dalla rabbia!
‒ Morire! È uno che se la piglia!
‒ È più tranquillo di noi!
‒ Io dico che ci si diverte.
‒ Ma la sua famiglia?
‒ Chi sa da che parte di mondo è venuto!
‒ Questa robaccia non à mica famiglia!
‒ Sicuro, è roba allo sbaraglio!
‒ Se venisse dall’ inferno?
‒ Povero diavolaccio!
‒ Avreste anche compassione?
Se v’avesse bruciata la casa
non direste così.
‒ La vostra l’à bruciata?
‒ Se non l’à bruciata
poco c’è corso.
À bruciato mezzo mondo
questo birbaccione!
‒ Almeno, vigliacchi, non gli sputate addosso,
infine è una creatura!
‒ Ma come se ne sta tranquillo!
‒ Non à mica paura!
‒ Io morirei dalla vergogna!
‒ Star lì in mezzo alla berlina!
‒ Per tre giorni!
‒ Che gogna!
‒ Dio mio che faccia bieca!
‒ Che guardatura da brigante!
‒ Se non ci fosse la gabbia
io non ci starei!
‒ Se a un tratto si vedesse scappare?
‒ Ma come deve fare?
‒ Sarà forte quella gabbia?
‒ Non avesse da fuggire!
‒ Dai vani dei ferri non potrà passare?
Questi birbanti si sanno ripiegare
in tutte le maniere!
‒ Che bel colpo oggi la polizia!
‒ Se non facevan presto a accaparrarlo,
ci mandava tutti in fumo!
‒ Si meriterebbe altro che berlina!
‒ Quando l’ànno interrogato,
à risposto ridendo
che brucia per divertimento.
‒ Dio mio che sfacciato!
‒ Ma che sorta di gente!
‒ Io lo farei volentieri a pezzetti.
‒ Buttatelo nel fosso!
‒ Io gli voglio sputare
un’altra volta addosso!
‒ Se bruciassero un pò lui
perchè ridesse meglio!
‒ Sarebbe la fine che si merita!
‒ Quando sarà in prigione scapperà,
è talmente pieno di scaltrezza!
‒ Peggio d’una faina!
‒ Non vedete che occhi che à?
‒ Perchè non lo buttano in un pozzo?
‒ Nel cisternone del comune!
‒ E ci sono di quelli
che avrebbero pietà!
‒ Bisogna esser roba poco pulita
per aver compassione
di questa sorta di persone!

Largo! Largo! Largo!
Ciarpame! Piccoli esseri
dall’esalazione di lezzo,
fetido bestiame!
Ringoiatevi tutti
il vostro sconcio pettegolezzo,
e che vi strozzi nella gola!
Largo! Sono il poeta!
Io vengo di lontano,
il mondo ò traversato,
per venire a trovare
la mia creatura da cantare!
Inginocchiatevi marmaglia!
Uomini che avete orrore del fuoco,
poveri esseri di paglia!
Inginocchiatevi tutti!
Io sono il sacerdote,
questa gabbia è l’altare,
quell’uomo è il Signore!

Il Signore tu sei,
al quale rivolgo,
con tutta la devozione
del mio cuore,
la più soave orazione.
A te, soave creatura,
giungo ansante, affannato,
ò traversato rupi di spine,
ò scavalcato alte mura!
Io ti libererò!
Fermi tutti, v’ò detto!
Tenete la testa bassa,
picchiatevi forte nel petto,
è il confiteor questo,
della mia messa!
T’ànno coperto d’insulti
e di sputacchi,
quello sciame insidioso
di piccoli vigliacchi.
Ed è naturale che da loro
tu ti sia fatto allacciare:
quegl’ insetti immondi e poltroni,
sono lividi di malefica astuzia,
circola per le loro vene
il sangue verde velenoso.
E tu grande anima
non potevi pensare
al piccolo pozzo che t’avevan preparato,
ci dovevi cascare.
Io ti son venuto a liberare!
Fermi tutti!
Ti guardo dentro gli occhi
per sentirmi riscaldare.

L'ASSOLTO

Allor che i miei buoni fratelli m'avevan due volte sepolto,
disse una voce: (io non so come e dove)
"Assolto. Mancanza assoluta di prove".
Si apersero tutte le porte, si apersero tutti i cancelli.
"Assolto!" Io sono "l'assolto" miei cari signori, e ora che sono fuori guardatemi bene in viso: ho ucciso?
"Assolto!"
È la mia professione, che intendo bene di sfruttare dal suo lato migliore.
"Assolto!"
Appena uscito mi accorsi subito qual era il miglior partito.
Fuggire? Nascondersi agli occhi della gente? Macché!
Sottrarsi alla sconcezza del dubbio ch'io rivesto? Macché!
Rivestirlo dignitosamente o con disinvoltura? Macché! Niente, niente!
Esibirsi, senza misura, generosamente.
Gli è perciò ch'io frequento le strade, il passeggio, i teatri, il caffè, come ogn'altr'uom non assolto: certe volte mi diverto poco... certe altre molto... né più né meno di lui o di te.
Si sa che color che incontrandomi intrecciavan col mio bei sorrisi, vedeste ora che visi...
che visi mi fanno!
E che voci sorprendo dai crocchi! Vedeste che occhi!
- Un innocente si scolpa.
- E un farabutto lo stesso.
- Ha taciuto, ecco tutto.
- Ha taciuto come un innocente.
- Ha taciuto come un farabutto!
- E gli errori?
- Questi sono gli errori, i delinquenti sono tutti fuori!
Entro per tempo in teatro, prendo possesso della mia poltrona con molto sussiego.
Mi volgo, mi chino, mi spiego; mi lascio ammirar giro giro con aria da Dio.
E se certi visi si spostano resta inflessibile il mio.
Per i primi venti minuti lo spettacolo lo do io. "Bella che stai puntandomi attraverso la lente dell'occhialino, dimmi, mio bel musino, mi desideri innocente, o mi desideri assassino?"
Un signore là indietro, dai posti distinti, macina lesto fra i denti: "sul trono, sul trono i briganti!"
E un altro: "guardate che ghigna stasera, facciaccia da galera!"
Quando s'alza il sipario divento anch'io un umile spettatore, come lui, negli antratti ritorno un poco attore, eppoi ancora spettatore come te, come tutti gli altri.
E se dopo all'uscita qualcuno mi aspetta, io esco pian pianino senza nessuna fretta.
Poi vado al caffè. Finché c'è gente sveglia nella città resto a sua disposizione, nessuno dev'essere defraudato nella legittima curiosità, sono un galantuomo nella mia professione.
E non crediate ch'io sia tardivo ad escir fuori al mattino, macché! bisogna pensare che il mattiniero ha gli stessi diritti del nottambulo cittadino.
"Assolto!" Può sembrar poco... e può sembrar di molto.
Guardatemi bene in viso: ho ucciso?
-- Aldo Palazzeschi


CHI SONO?

Son forse un poeta?
       No, certo.
       Non scrive che una parola, ben strana,
       la penna dell'anima mia:
5    "follia".
       Son dunque un pittore?
       Neanche.
       Non ha che un colore
       la tavolozza dell'anima mia:
10  "malinconia".
       Un musico, allora?
       Nemmeno.
       Non c'è che una nota
       nella tastiera dell'anima mia:
15  "nostalgia".
       Son dunque... che cosa?
       Io metto una lente
       davanti al mio cuore
       per farlo vedere alla gente.
20  Chi sono?
       Il saltimbanco dell'anima mia
.

domenica 24 novembre 2013

Evoluzione del Limes Romano dal 80 d.C. al 400 d.C.



Impero Romano 80 d.C. - Tito


Impero Romano 117 d.C - Traiano


Vallum Adrianeum
 Inghilterra, a 15 km dal confine con la Scozia

Vallum Adrianeum
Ricostruzione torretta


Regno di Palmira 
(260-268: Settimio Odenato; 268 - 272 Zenobia e Waballah; 
Regno delle Gallie con Postumo 260- 274).




Sito archeologico di Palmira (oggi Tadmor) - Siria


Palmira (oggi Tadmor) - Decumanus Maximus

Teatro romano di Palmira


Emesa 272 d.C. - Siria 
Aureliano sconfigge Zenobia e il suo generale Zabdas


Limes al tempo di Costantino


Provincia d'Asia 400 d.C.

Fonte: Wikipedia

giovedì 21 novembre 2013

ELABORATO DI GEOGRAFIA

22/11/2013

CIAO CALOGERO,
RISPONDI ALLE SEGUENTI DOMANDE DI GEOGRAFIA:

1.       Che forma hanno la parte settentrionale e la parte meridionale del continente americano?
2.       Da che cosa sono unite?



3.       Fra quali oceani si trova l’America?

4.       Come è il clima nelle isole dell’America Centrale?

5.       Da che cosa è caratterizzato il territorio dell’America Settentrionale nella parte centro occidentale (centro-ovest)?
6.       Quale catena montuosa troviamo nella parte orientale (est)?
7.       Come si chiama il più importante fiume degli Stati Uniti?
8.       Percorre la parte centrale degli Stati Uniti da nord a sud o da est a ovest?
9.       Quali laghi troviamo nella parte nord-est degli Stati Uniti?
10.   In quale parte degli Stati Uniti si trovano le cosiddette Grandi Pianure?


11.   Qual è la famosa città della costa est degli Stati Uniti dove c’è la “statua della Libertà”?


BUON LAVORO!

mercoledì 20 novembre 2013

Neruda Canto General



Los conquistadores
I
Vienen por las islas (1493)

 
Los CARNICEROS desolaron las islas.
Guanahaní fue la primera
en esta historia de martirios.
Los hijos de la arcilla vieron rota
su sonrisa golpeada
su frágil estatura de venados,
y aún en la muerte no entendían.
[…]
Y cuando el tiempo dio su vuelta de vals
bailando en las palmeras,
el salón verde estaba vacío. 
[…]
I conquistatori
I
Giungono alle isole


I predatori desolarono le isole.
[…]
I figli dell’argilla videro spezzati
i sorrisi colpita
la loro fragile struttura di cervi
[…]

II
Ahora es Cuba

 
Y luego fue la sangre y la ceniza.
Después quedaron las palmeras solas. 
[…]
Por los valles de la dulzura
bajaron los extermiandores,
[…] 
Cuba, mi amor, que escalofrío
te sacudió de espuma a espuma,
hasta que te hiciste pureza,
soledad, silencio, espesura,
y los huesitos de tus hijos
se disputaron los cangrejos.


 
II
E ora a Cuba


E dopo fu il sangue e la cenere
Poi rimasero le palme desolate
[…]
Per le valli della dolcezza calarono gli sterminatori
[…]
Cuba, mio amore, che brivido
ti scosse di spuma in spuma,
fino a quando diventasti purezza, […]

e le piccole ossa dei tuoi figli
se le disputarono i granchi.

III
Llegan al Mar de México
(1519)



A Veracruz va el viento asesino.
En Veracruz desembarcaron los caballos.

Las barcas van apretadas de garras
y barbas rojas de Castilla.  

Son Arias, Reyes, Rojas, Maldonados,
hijos del desamparo castellano,
conocedores del hambre en invierno
y de los piojos de los mesones.  

[…]



Irían a morir o revivir detrás
de las palmeras, en el aire caliente
[…]



El hambre antigua de Europa, hambre como la cola
de un planeta mortal, poblada el buque,
el hambre estaba allí, desmantelada,
errabunda hacha fría, madrastra
de los pueblos, el hambre echa los dados
en la navegación, sopla las velas:


"Más allá que te como, más allá,
que regresas
a la madre, al hermano, al juez y al cura,
a los inquisidores, al infierno, a la peste.  

Más allá, más allá, lejos del piojo,
del látigo feudal, del calabozo,
de las galeras llenas de excremento".  


     Y los ojos de Núñez y Bernales
     clavadas en la ilimitada
     luz el  reposo,
     una vida, otra vida,
     la innumerable y castigada
     familia  de los pobres del mundo. 

III
Giungono al Mar del Messico
(1519)
[…]

[...]

Le imbarcazioni vanno stipate di grinfie
E barbe rosse di Castiglia.
Sono Arias, Teyes, Rojas, Maldonados,
figli della desolazione casigliana,
conoscitori della fame in inverno
e dei pidocchi nelle locande.
[…]

Andavano a morire o a rivivere oltre
Le palme, nell’aria infuocata
[…]

La fame antica d’Europa, fame come
La coda
Di un pianeta mortale, popolava lo scafo,
la fame stava lì, sconvolta,
errabonda, accetta fredda, matrigna
dei popoli, la fame getta i dadi
nella navigazione, soffia sulle vele:
“Più in là che ti sbrano, più in là,
che altrimenti dovrai ritornare
alla madre, al fratello, al giudice, al parroco,
agli inquisitori, all’inferno, alla peste.
Più in là, più in là, lontano dal pidocchio,
dalla frusta feudale, dalla prigione,
dalle galere piene di escrementi”.

E gli occhi di Núñez e Bernales
Inchiodati nella illimitata
Luce del riposo,
una vita, un’altra vita,
l’innumerevole e tormentata
famiglia dei poveri del mondo.
IV
Cortés

Cortés no tiene pueblo, es rayo frío,
corazón muerto en la armadura.
[…]
Ya avanza hundiendo puñales, golpeando
las tierras bajas, las piafantes
cordilleras de los perfumes,
parando su tropa entre orquídas
y coronaciones de pinos,
atropellando los jazmines,
hasta las puertas de Tlaxcala.
Hermano aterrado, no tomes
como amigo al buitre rosado.
desde el musgo te hablo, desde
las raíces de nuestro reino.
Va a llover sangre mañana,
las lágrimas serán capaces
de formar niebla, vapor, ríos,
hasta que derritas los ojos.
IV
Cortés



[…]
E avanza affondando pugnali, colpendo
Le basse terre, le rampanti
Cordigliere di profumi,
Schierando le sue truppe fra le orchidee
E le corone di pino,
calpestando […]

Fratello atterrito, non accogliere
Come amico l’avvoltoio roseo,
dal muschio ti parlo,
dalle radici del nostro regno.
Pioverà sangue domani



 VII
Guatemala

Guatemala la dulce, cada losa
de tu mansión lleva una gota
de sangre antigua devorada
por el hocico de los tigres.  

[…]  


   En: Canto General 

Los Conquistadores
 VII
Guatemala


Guatemala la dolce, ogni pietra 
della tua casa porta una goccia
di sangue antico divorato
dal muso delle tigri.
[...]
XXV


[…] La luz vino a pesar de lo punales
XXV
[...] La luce venne malgrado i pugnali

     
Los Libertadores

Fray Bartolomé De Las Casas

[...]
surge una luz antigua, suave y dura como un metal, como
sorge una luce antica, dolce e dura come un metallo, come

un astro enterrado. Padre Bartolomé, gracias por este regalo
un astro sotterraneo. Padre Bartolomè, grazie per questo regalo

de la cruda medianoche, gracias porque tu hilo fue invencible:
della crudele mezzanotte, grazie perchè il tuo filo fu invincibile:
[...]
[...]

Eras realidad entre fantasmas encarnizadas, eras    

la eternidad de la ternura sobre la ráfaga del castigo.
[...]
Hoy a esta casa, Padre, entra conmigo.
Te mostraré las cartas, el tormento de mi pueblo, del hombre perseguido.
Te mostraré los antiguos dolores.
[...]
Toqui Caupolicán

En la cepa secreta del raulí
creció Caupolicán, torso y tormenta,
[…]

Supieron que la hora había acudido
al reloj de la vida y de la muerte.
Otros árboles con él vinieron.

Toda la raza de ramajes rojos,
todas las trenzas del dolor silvestre,
todo el nudo del odio en la madera.
Caupolicán, su máscara de lianas
levanta frente al invasor perdido:
no es la pintada pluma emperadora,
no es el trono de plantas olorosas,
no es el resplandeciente collar del sacerdote,
no es el guante ni el príncipe dorado:
es un rostro del bosque,
un mascarón de acacias arrasadas,
una figura rota por la lluvia,
una cabeza con enredaderas.

De Caupolicán el Toqui es la mirada
hundida, de universo montañoso,
los ojos implacables de la tierra,
y las mejillas del titán son muros
escalados por rayos y raíces.


El empalado

Pero Caupolicán llegó al tormento.

Ensartado en la lanza del suplicio,
entró en la muerte lenta de los árboles.

[…]

El Toqui dormía en la muerte.
Un ruido de hierro llegaba
del campamento, una corona
de carcajadas extranjeras,
y hacia los bosques enlutados
sólo la noche palpitaba.

No era el dolor, la mordedura
del volcán abierto en las vísceras,
era sólo un sueño del bosque,
el árbol que se desangraba.

En las entrañas de mi patria
entraba la punta asesina
hiriendo las tierras sagradas.
La sangre quemante caía
de silencio en silencio, abajo,
hacia donde está la semilla
esperando la primavera.

Más hondo caía esta sangre.

Hacia las raíces caía,

Hacia los muertos caía.

Hacia los que iban a nacer.

 

XV    LAS HACIENDAS 

La tierra andaba entre los mayorazgos
de doblón en doblón, desconocida,
pasta de apariciones y conventos,
hasta que toda la azul geografía
se dividió en haciendas y encomiendas.
Por el espacio muerto iba la llaga
del mestizo y el látigo
del chapetón y del negrero.
El criollo era un espectro desangrado
que recogía las migajas,
hasta que con ellas reunidas
adquiría un pequeño título
pintado con letras doradas.
Y en el carnaval tenebroso
salía vestido de conde,
orgulloso entre otros mendigos,
con un bastoncito de plata.
Pablo Neruda
(1904 -1973)
Chileno.
 
XXI
SAN MARTÍN (1810)
ANDUVESan Martín, tanto y de sitio en sitio
que descarté tu traje, tus espuelas, sabía
que alguna vez, andando en los caminos
hechos para volver, en los finales
de cordillera, en la pureza
de la intemperie que de ti heredarnos,
nos íbamos a ver de un día a otro.
[…]
     Te galopamos, San Martín, salimos
     amaneciendo a recorrer tu cuerpo,
     respiramos hectáreas de tu sombra,
     hacemos fuego sobre tu estatura.
     Eres extenso entre todos los héroes.
[…]
Tu abarcaste en la muerte más espacio.
     Tu muerte fue un silencio de granero.
     Pasó la vida tuya, y otras vidas,
     se abrieron puertas, se elevaron muros
     y la espiga salió a ser derramada.
   […]
XXVII
GUAYAQUIL (1822)
CUANDO entró San Martín, algo nocturno
de camino impalpable, sombra, cuero,
entró en la sala.
                                      
Bolívar esperaba.
[…]
       Las palabras abrieron un sendero
       que iba y volvía en ellos mismos.
       Aquellos dos cuerpos se hablaban,
       se rechazaban, se escondían,
       se incomunicaban, se huían.
       San Martín traía del Sur
       un saco de números grises,
       la soledad de las monturas
       infatigables, los caballos
       batiendo tierras, agregándose
       a su fortaleza arenaria.
      
Entraron con él los ásperos
       arrieros de Chile, un lento
       ejército ferruginoso,
       el espacio preparatorio,
       las banderas con apellidos
       envejecidos en la pampa.
Cuanto hablaron cayó de cuerpo a cuerpo
en el silencio, en el hondo intersticio.
No eran palabras, era la profunda
emanación de las tierras adversas,
de la piedra humana que toca
otro metal inaccesible.
Las palabras volvieron a su sitio.
Cada uno, delante de sus ojos
veía sus banderas.
Uno, el tiempo con flores deslumbrantes,
otro, el roído pasado,
los desgarrones de la tropa.
       Junto a Bolívar una mano blanca
       lo esperaba, lo despedía,
       acumulaba su acicate ardiente,
       extendía el lino en el tálamo.
       San Martín era fiel a su pradera.
       Su sueño era un galope,
       una red de correas y peligros.
       Su libertad era una pampa unánime.
       Un orden cereal fue su victoria.
       Bolívar construía un sueño,
       una ignorada dimensión, un fuego
       de velocidad duradera,
       tan incomunicable, que lo hacía
       prisionero, entregado a su substancia.
       Cayeron las palabras y el silencio.
      
Se abrió otra vez la puerta, otra vez toda
       la noche americana, el ancho río
       de muchos labios palpitó un segundo.
           San Martín regresó de aquella noche
           hacia las soledades, hacia el trigo.
           Bolívar siguió solo.

domenica 17 novembre 2013

Centralist Republic of Mexico. Costituzione del 1835

Fonte: Wikipedia

Siete Leyes (Le sette leggi) di Antonio Lopez de Santa Ana.

The Siete Leyes (or Seven Laws) were a series of constitutional instruments that fundamentally altered the organizational structure of the young first Mexican Republic. They were enacted under President Antonio López de Santa Anna on 15 December 1835 to centralize and strengthen the federal governament at a time when the very independence of Mexico was in question.
1.     The 15 articles of the first law granted citizenship to those who could read and had an annual income of 100 pesos, except for domestic workers, who did not have the right to vote.
2.     The second law allowed the President to close Congress and suppress the Supreme Court of Justice of the Nation. Military officers were not allowed to assume this office.
3.     The 58 articles of the third law established a bicameral Congress of Deputies and Senators, elected by governmental organs. Deputies had four-year terms; Senators were elected for six years.
4.     The 34 articles of the fourth law specified that the Supreme Court, the Senate of Mexico, and the Meeting of Ministers each nominate three candidates, and the lower house of the legislature would select from those nine candidates the President and Vice-president,
5.     The fifth law had an 11-member Supreme Court elected in the same manner as the President and Vice-President.
6.     The 31 articles of the sixth Law replaced the federal republic's "states" with centralized "departments", fashioned after the French model, whose governors and legislators were designated by the President.
7.     The seventh law prohibited reverting to the pre-reform laws for six years.

lunedì 11 novembre 2013

COMPRENSIONE, RIELABORAZIONE E RIASSUNTO DEL BRANO
“L'Africa: un continente che emigra
.
Informazioni utili per il riassunto:
1.       Il testo è tratto da una conferenza tenuta nel 2005 da Jean-Léonard Touadi  durante il Forum “Genova Nuovi Europei: Mare che unisce, Città che accoglie”.

2.       Jean-Léonard Touadi
 Nato nel 1959 nel Congo-Brazzaville, è giornalista e conferenziere. Ha insegnato filosofia in un liceo romano. In Italia dal 1979, si è laureato in Filosofia all'Università "La Sapienza" in Giornalismo e Scienze politiche alla Luiss di Roma. È autore del programma di RaiDue: "Un mondo a colori". È membro del Comitato scientifico di Nigrizia.

COME NON FARE IL RIASSUNTO

Esempio: dalle parole “Una lettura dell’Africa […]” alle parole “i segni dei tempi[…]”
UNO DEI MODI IN CUI FARE QUESTO RIASSUNTO
Esempio: dalle parole “Una lettura dell’Africa […]” alle parole “i segni dei tempi[…]”
Vi è una lettura nuova. Vengono sconvolte certezze che svegliano ricordi addormentati da far urlare per le cose fatte dall’Europa nel XVI secolo o nel periodo delle colonie.
Sull’argomento del Forum: Genova Nuovi Europei: Mare che unisce, Città che accoglie, abbiamo alcuni passi del relatore, Jean Leonard Touadi, un giornalista della RAI. Si tratta di un tema di grande interesse: le cose che accadono qui vicino[…]
Durante una conferenza dal titolo “Mare che unisce città che accoglie”, il giornalista di origine africana Jean Leonard Touadi ripercorre, attraverso un punto di vista originale e innovativo, le ragioni e lo sviluppo dell’emigrazione dall’Africa in Europa. Il fenomeno viene fatto risalire non solo alle terribili conseguenze della colonizzazione iniziata nel Cinquecento, ma anche alle recenti condizioni economiche e sociali di un continente che, nelle proporzioni globali, non si trova a molti kilometri dall’Italia e dalle nostre vite spesso distratte o addormentate.

Fonte: sito dell’Unione Ex Allievi del Don Bosco di Sampierdarena,  http://www.boscoge.org/eco/a2005s2/AfricaContinente.htm



“L'Africa: un continente che emigra”
[…] Una lettura dell'Africa per molti versi nuova.
Tale da sconvolgere certezze e destare ricordi assopiti che gridano al cielo, non solo per quanto l'Europa ha fatto nel XVI secolo o nel periodo coloniale, ma anche per quello che ancora oggi permette che accada. Sul tema del Forum: Genova Nuovi Europei: Mare che unisce, Città che accoglie, abbiamo desunto passi consistenti dell'intervento del relatore, Jean Leonard Touadi, conduttore di Mondo a Colori della RAI. […]
"E' un tema suggestivo, ma anche problematico. Vorrei commentare questo tema, ma anche raccontare quanto sta accadendo adesso, a pochi chilometri da qui. "
1. IL FENOMENO DELL'EMIGRAZIONE
"Negli anni '60 era di moda parlare di 'scrutare i segni dei tempi'. Se oggi noi tentiamo di scrutare i segni dei tempi, non possiamo non vedere che il segno è quello della emigrazione. Emigrazione come gigantesco, epocale fenomeno, destinato a mutare il quadro di vita internazionale e locale.
Sono circa 200 milioni di persone che vagano alla ricerca di pane, fuggendo da situazioni di guerra, di conflitti, alla ricerca di un po' di dignità per sé e per la loro famiglia.
Le cause per cui queste masse scappano dalle loro terre sono i grandi squilibri economici tra un 20% della popolazione che consuma l'85% delle risorse e l'85% che deve accontentarsi delle briciole che cadono dalla tavola imbandita di quei pochi che hanno la fortuna di nascere nei posti giusti.
Questo squilibrio col passare degli anni non fa che aumentare la 'geografia della miseria e della povertà'. La prima conseguenza è l'emigrazione dalle aree depresse, sottosviluppate, o meglio aree impoverite, per andare dove c'è ricchezza e opulenza.
La nostra generazione, ma ancora di più quella dei giovani, dovrà fare i conti con questa situazione che tocca tutti. Non solo l'Europa; tocca l'America del Nord: basta guardare ciò che succede alla frontiera tra Messico e Stati Uniti; tocca il Canada, la Nuova Zelanda,l'Australia; tocca la stessa Africa: basta pensare alla frontiera tra la Zamblia e Monzambico: quanti operai cercano di entrare nell'unico paese africano che sta un po' meglio che è il Sud Africa. Un fenomeno che coinvolge tutto il mondo.
Abbiamo, a volte, l'impressione che solo l'Italia sia investita dal crudele destino dell'immigrazione.
L'Italia è investita da questo fenomeno, perché è uno dei paesi più ricchi del mondo; è considerata come un polo di attrazione per chi non ha nulla da mangiare. Inoltre la condizione geografica dell'Italia, nel cuore del Mediterraneo, attira i flussi migratori provenienti dal Medioriente, dall'Est Europeo e soprattutto dal Sud, dal continente africano.
Il fenomeno dell'emigrazione non va visto solo nella parte finale, quando gli emigrati arrivano nelle nostre città. È chiaro che ci sono problemi di accoglienza.
Dobbiamo considerare i fattori di espulsione per cui una persona decide di lasciare la sua casa, i suoi affetti, la sua cultura, i suoi sogni nel paese dove è nato. Alle tre "I" come stella polare dell'integrazione cioè Inglese, Informatica, Intesa, io aggiunger ei un quarto 'I' Intercultura.
L'intercultura vuol dire dotare i giovani e ciascuno di noi di quella valigia multiculturale, di quell'orizzonte dilatato che non considera più solo la dimensione locale, ma si allarga fino ad abbracciare la dimensione globale.
Il fenomeno dell'immigrazione è complesso e drammatico. Non è riducibile all'interesse elettorale. È un problema politico che va affrontato alla radice'.
2. COMPITO DEL GIORNALISTA È SVELARE LE COSE SCONOSCIUTE
"In questi mesi si parla della grande tragedia che si sta consumando nel deserto del Sahara, sulla costa tra il Marocco e lAlgeria. Si è scritto: il Sud del mondo sta bussando alle porte dei paesi ricchi"
Se ne parla in modo metaforico. Questo bussare discreto sta diventando una pressione enorme alle porte della ricchezza.
Sto parlando di decine e decine di migliala di giovani: uomini, donnne, anche minorennni. L'ultimo che ho visto aveva dieci anni. L'età dei giovani che vogliono emigrare si abbassa sempre di più. Dall'Angola per arrivare alla Libia si attraversa tutta l'Africa. C'è chi si imbarca clandestinamente, chi va a piedi o con camion, per arrivare all'ultimo paese prima dell'Africa del Nord, che è il Mali. Dal Mali cercano di arrivare nel Marocco ed entrare dalla Spagna, oppure dal Niger per arrivare, attraverso la Sicilia, in Europa. Nulla sappiamo di quello che sta facendo Gheddafi delle migliala di persone che dal Mali attraverso il deserto tentano di entrare in Libia. Giunti a Lampedusa, ora, trovano il ponte aereo per riportarli in Libia. Anche qui c'è un buco nero nell'informazione. Cosa se ne fa di questi giovani che entrano e tornano indietro?"
3. IL PERCORSO DELLA MORTE
"È interessante capire il percorso di questi giovani nel Mali. Molte volte il viaggio è finanziato dalle famiglie e dal villaggio. In una situazione di povertà o di conflitti aver un giovane in Europa significa per quella famiglia un investimento.
Qualunque lavoro questo giovane faccia, riesce a mandare a casa 50/100 Euro al mese e una famiglia di dieci persone può mangiare. Allora, fare emigrare un giovane è una rendita.
Arrivato al Mali si trova davanti il deserto... molto caldo di giorno, fino a 50 gradi, e molto freddo di notte. A Gao, città del Mali, ci sono i boss, coloro che gestiscono il traffico verso l'Europa. Chi vuole esser traghettato verso l'Europa paga 2500/3000 Euro. Per l'Africa è un vero patrimonio.
Attraversano il deserto verso la frontiera algerina, ma passano in base a quanto il camionista ha dato ai poliziotti. Stipati all'inverosimile in questi camion, senza scorta d'acqua, iniziano la traversata del deserto. Alcuni di loro, affetti da malaria nel loro paese di origine, nel deserto trovano la morte. Lungo questa strada, in questa attraversata del deserto verso la terra promessa, accade di tutto: vengono assaliti da banditi locali, derubati dai poliziotti dei pochi soldi, subiscono percosse da parte della polizia e violenza carnale. Parecchie ragazze arrivano incinte. Si pensava che già prima di partire fossero rimaste incinte, in realtà quelle gravidanze erano il frutto delle violenze subite durante la traversata.
I più fortunati riescono ad attraversare la frontiera algerina, entrano in Marocco e arrivano nelle due enclave spagnole. Lì aspettano nelle foreste del Marocco il passaggio definitivo. Se le cose vanno bene in una notte s'arriva in Spagna.Quando si dice a questi ragazzi che rischiano la morte, essi rispondono: "per andare in Paradiso siamo pronti a vivere anche all'inferno"; ci stai dicendo che rischiamo di morire, se tentiamo di attraversare lo stretto di Gibilterra? Ma noi siamo già morti. La vita nei nostri paesi è già morte, siamo cadaveri ambulanti. Se non moriamo perché i poliziotti spagnoli ci sparano, moriremo o di fame o AIDS o di guerre o diventeremo bambini soldato. Quindi siamo già morti. I più fortunati riescono ad attraversare il mare, i 14 chilometri tra lo stretto di Gibilterra e la costa spagnola. Ma ogni notte c'è la guardia civil che li respinge. Comunque tanti ne arrestano e tanti ne rispediscono indietro. In questi cinque ultimi anni sono morte dai 4000 ai 5000 persone.
Accade poi un'altra cosa molto strana, che deve farci riflettere: in questo mondo convivono la morte e la vita con indifferenza e grande cinismo. Se andate sulle coste di fronte a Gibilterra vedete un gran numero di scarpe o di giubbotti o cadaveri che il mare restituisce. Essendo zona turistica però prima delle 8 del mattino la spiaggia viene pulita. Alle 9 arrivano i turisti come se nulla fosse. Oggi si sta consumando un dramma incredibile: alle porte del Mali altri aspettano per tentare questa avventura.
Che cosa stanno facendo i paesi del Nord Africa, cioè il Marocco e l'Algeria? Hanno pochi poliziotti, pochi mezzi,hanno poca voglia di fare questo lavoro; la maggior parte è corrotta, alcuni sono compiici dei camionisti che traghettano queste persone.
Una fluidità nelle frontiere che spaventa.
L'Unione Europea, interessata a questo fenomeno soprattutto da ottobre, quando mille ragazzi hanno sfondato la recinzione elettrica che il governo spagnolo ha costruito a Ceuta e a Melina. Erano mille: 100 sarebbero morti, almeno 900 potrebbero entrare...
Persone che si giocano la vita per questa terra promessa che poi tale non è. L'UE sta tentando di spostare le frontiere d'Europa a Sud del Marocco, dando ai magrebini il compito di essere i poliziotti dell'Europa.
Lo sparare su giovani e giovanissimi emigrati non fa bene ne a Zapatero, ne ad alcun governo occidentale.
È meglio che questo lavoro venga fatto dal Marocco e dall'Algeria o, come abbiamo fatto noi, dando i soldi a Gheddafi... perché provveda'. Un paradosso: il primo gennaio di ogni anno parte da Parigi la corsa più ricca del mondo, la Parigi - Dakar. Bolidi, Centauri ultramiliardari, una corsa fatta per miliardari: tutta la corsa è una grande macchina di spese. Queste macchine percorreranno esattamente le rotte percorse da questi poveri che da Sud vogliono andare a Nord. Così centinaia e centinaia di miliardi di dollari si spendono per puro divertimento e si rischia pure la morte, dando morte ad animali che s'incontrano nei villaggi . scatenando montagne di polvere'.
4. CONCLUSIONE
"Dove sta lo sviluppo che era stato promesso? Dov'è il New Deal promesso da Kennedy? La Pacem in terris di papa Giovanni, la "Populorum Progressio" di Paolo VI? Tutto questo, oggi, è svanito nel magma della globalizzazione. Quello che conta oggi è delocalizzare le aziende, sfruttare la mano d'opera a basso costo, pompare le materie prime, il petrolio in primis, i diamanti.
Ci sono responsabilità locali per come abbiamo gestiti questi 50 anni d'indipendenza: come abbiamo male impostato la politica e l'economia. Tutto questo in un quadro internazionale ancora più opprimente delle responsabilità locali. È tempo di smettere di pensare in termini di noi e loro.
Se qualcosa la globalizzazione ha portato, nel bene e nel male, è la consapevolezza di un destino comune: se non abbiamo avuto lo stesso passato, avremo lo stesso futuro. Questi futuro va preparato con una politica seria. Come si può pensare che l'Europa possa vivere in prosperità e in pace con alle porte un continente che nel 2015 avrà un miliardo di persone? Con uno stallo demografico, c'è gente che ha deciso di non riprodursi, l'Italia in primis: non fa figli ne vuole immigrazione, mentre in Africa più del 70% della popolazione ha dai 15 ai 25 anni.
Questa è una bomba ad orologeria! Prima dicevamo che l'Europa doveva occuparsi degli altri, ora diciamo che deve preoccuparsi di sé, per il suo futuro.
Ogni volta che un chilo di caffè non è comprato a giusto prezzo sono due che prendono la strada dell'emigrazione. Ogni volta che il petrolio dell'Angola viene comprato, e i soldi non si sa dove vadano, sono tré Angolani che si mettono in marcia. Dunque perfetta simmetria tra questo tipo di economia e le cause che provocano l'emigrazione'.
5. DAL DIALOGO CON I PRESENTI ALLA LEZIONE
Tre le domande principali:
- Cosa pensa della situazione della sollevazione della periferia parigina?
Riassumiamo le risposte: Per capire la situazione francese della ribellione delle periferie partiamo da una domanda: "Come mai a Londra giovani della terza generazione di immigrati, che avevano frequentate le scuole inglesi, sono diventati Kamikaze e hanno fatto saltare la metro"?
Ci sono vari modi di accogliere gli emigranti:
quello inglese che ripete a Londra il modello usato per le colonie, che è poi il modello dell'impero romano. Basta pagare le tasse, rispettare la sovranità inglese, tutto il resto è lasciato alla libertà di ogni gruppo etnico.
Cosa è capitato in Inghilterra per i numerosi immigrati? Nel pieno delle libertà si sono formati veri e propri gruppi separati, con una cittadinanza più formale che sostanziale. In qualche modo una ghettizzazione in nome della libertà.
In Francia si è seguito il modulo coloniale francese: da Parigi all' ultima colonia tutti francesi. È la via dell'assimilazione. A Parigi, al di fuori del centro, vivono 10 milioni di persone. La stessa cosa si ripete nelle periferie di grandi città. Un'assimilazione di facciata che ora viene a scontrarsi, nella terza generazione, con uno stato sociale che non ha mantenuto le promesse. "L'ascensore sociale non ha funzionato, salgo a piedi e sfascio tutto!"

La situazione italiana è diversa, perché priva di un passato coloniale di stampo liberale o nazionalistico. La situazione delicata in Italia è il problema irrisolto della cittadinanza. Con le leggi attuali, il nuovo arrivato rischia di avere i doveri, ma non i diritti. Comunque la soluzione del disagio si risolve nell'accogliere le diversità riconoscendo pari diritti e pari doveri. È la via dell'integrazione: Nuovi italo-sudamericani, italo-africani, italo-islamici... L'Africa è il continente più ricco e insieme il più povero. Le responsabilità vanno cercate nell'Africa stessa, nella politica e nell'economia mal governate, ma anche nella grave pressione esterna: controllo, razzia di materie prime, collusione con governanti corrotti.

A questo punto va ricordato l'esodo dei cervelli e dei giovani migliori dall'Africa. Un apporto non indifferente, al di là della buona intenzione, l'ha dato la scuola e dei missionari: hanno prodotto alienazione. Hanno preparato persone che potevano vivere bene nell'Occidente. Una scuola che non ha assolto il suo compito primario: fare crescere una cultura africana a servizio dell'Africa. Non basta alfabetizzare le persone, i contenuti devono essere lievito nel mondo di cui si è parte. Come fare per impedire che chi ha studiato non disprezzi chi non ha studiato? Un dato fa pensare: il 70% dei dirigenti sono passati nelle scuole missionarie.”