mercoledì 29 gennaio 2014

popol vuh e cultura maya

Fonte Wikipedia
POPOL VUH

 “Il libro della comunità” Storia del libro En su partida, se detuvo en Champotón, donde también se erigió un templo en su honor, junto al mar, para posteriormente seguir su camino hacia el altiplano de México. Il manoscritto del Popol Vuh più conosciuto e completo è scritto nel dialetto maya Quiché. Dopo la conquista spagnola del Guatemala, l'uso della scrittura maya fu proibito e fu introdotto l'alfabeto latino. Comunque alcuni sacerdoti e funzionari maya continuarono illegalmente a copiare il testo, usando però i caratteri latini. Una di queste copie fu scoperta circa nel 1702 da un sacerdote di nome Francisco Ximénez nella cittadina del Guatemala di Santo Tomás Chichicastenango: invece di bruciarla padre Ximénez ne fece una copia aggiungendovi una traduzione in lingua castigliana. Questa copia tornò alla luce in un dimenticato angolo della biblioteca dell'Università di San Carlos a Città del Guatemala, dove fu riscoperta dall'abate Brasseur de Bourbourg e da Carl Scherzer nel 1854. Essi pubblicarono, pochi anni dopo, la traduzione del testo in francese e inglese, la prima delle molte traduzioni in cui il Popol Vuh è stato stampato da allora. Il testo del manoscritto Ximénez contiene quelli che alcuni studiosi consideravano errori alla luce dell'esatta traslitterazione di un precedente testo pittografico, una prova che il Popol Vuh è basato su una copia di un testo molto precedente. Vi furono sicuramente aggiunte e modifiche al testo durante la colonizzazione spagnola in quanto i governatori spagnoli del Guatemala sono menzionati come successori degli antichi governanti maya. Il manoscritto è ora conservato nella biblioteca Newberry a Chicago in Illinois. Altre fonti Le ceramiche funerarie maya spesso contengono sezioni del testo pittografico del Popol Vuh e illustrazioni delle scene delle leggende. Alcune storie del Popol Vuh continuano tuttora ad essere raccontate dai maya moderni come leggende popolari; altre storie registrate dagli antropologi nel XX secolo contengono porzioni degli antichi racconti più dettagliate del manoscritto Ximénez. Il calendario maya I Maya (seguiti dagli altri popoli antichi dell'America centrale, quali gli Aztechi e i Toltechi) misuravano il tempo mediante tre calendari: accanto al calendario religioso, chiamato Tzolkin, e a quello civile, chiamatoHaab, utilizzavano infatti un sistema per il conteggio nel lungo periodo. LO TZOLKIN Questo calendario si limitava a dare un nome a ogni giorno, creandolo dalla combinazione di un numero (da 1 a 13) con un nome (da un elenco di 20), a sua volta abbinato al numero del giorno (kin) del calendario per il computo degli anni, spiegato di seguito. I 20 nomi erano: 0 Ahau 4 Kan 8 Lamat 12 Eb 16 Cib 1 Imix 5 Chiccan 9 Muluc 13 Ben 17 Caban 2 Ik 6 Cimi 10 Oc 14 Ix 18 Etznab 3 Akbal 7 Manik 11 Chuen 15 Men 19 Caunac I numeri posti prima del nome corrispondono ai giorni (kin) del calendario di lungo periodo. Combinando i numeri da 1 a 13 con i 20 nomi si otteneva un ciclo di 260 giorni con nomi diversi (13 x 20 =260), come, ad esempio, 1 Etznab, 4 Oc, 10 Akbal. L'associazione tra il numero e il nome rendeva i giorni più o meno "fortunati". L'HAAB Era il calendario civile, come si è detto, ed era formato da 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più 5 giorni detti Uayeb, per un totale di 365 giorni. I giorni di ogni mese erano numerati da 0 a 19; i cinque giorni Uayeb erano considerati particolarmente sfortunati. I nomi dei 18 mesi erano: 1) Pop 2) Uo 3) Zip 4) Zotz 5) Tzec 6) Xul 7) Yaxkin 8) Mol 9) Chen 10) Yax 11) Zac 12) Ceh 13) Mac 14) Kankin 15) Muan 16) Pax 17) Kayab 18) Cumku

 IL LUNGO CICLO (LONG COUNT) DEI MAYA

 Il minimo comune multiplo fra 260 (durata in giorni del calendario sacro) e 365 (durata in giorni del calendario civile) è 18980: ecco perché un periodo di 18980 giorni (circa 52 anni) costituiva per i Maya un ciclo importante, al termine del quale si temeva sempre il rischio di una fine del mondo. Ma per misurare il tempo lungo i secoli occorreva un terzo sistema di datazione, costituito dai seguenti elementi: • kin (giorno) • uinal: 1 uinal = 20 kin = 20 giorni • tun: 1 tun = 18 uinal = 360 giorni • katun: 1 katun = 20 tun = 7200 giorni • baktun: 1 baktun = 20 katun = 144000 giorni La data era formata da cinque gruppi di cifre, che rappresentavano i cinque elementi come in questo esempio: 7.9.14.12.18 Questa data sta appunto a significare: 7 baktun, 9 katun, 14 tun, 12 uinal e 18 kin. I kin, i tun e i katun erano numerati da 0 a 19, mentre gli uinal andavano da 0 a 17 e i baktunda 1 a 13. Ciò significa che la data presa come esempio corrisponde al giorno n. 1078098 dall'inizio del conteggio: infatti 18 + 12 x 20 + 14 x 18 x 20 + 9 x 20 x 18 x 20 + 7 x 20 x 20 x 18 x 20 = 1078098. Data di partenza è considerata il 13.0.0.0.0 (che equivarrebbe allo 0.0.0.0.0, se il baktuncominciasse da 0 anziché da 1), coincidente con quella conclusiva, oltre la quale il ciclo ricomincia. Un ciclo siffatto ha una durata di 1872000 giorni, cioè circa 5125 anni (1872000 = 13 x 144000). Anche se non vi è certezza assoluta a riguardo, le date più accreditate a corrispondere a quella di partenza sono l'11 o il 13 agosto 3114 a.C. delcalendario gregoriano (attenzione: ciò significa il 6 o l'8 settembre 3114 a.C. del calendario giuliano), e quindi quella conclusiva del ciclo (corrispondente al 13.0.0.0.0) dovrebbe essere stata il 21 o il 23 dicembre 2012. Dunque la data finale coincide, probabilmente in modo non casuale, con un solstizio d'inverno, che i Maya riuscivano a prevedere poiché probabilmente conoscevano il fenomeno dellaprecessione degli equinozi.

commercio internazionale

WIKIPEDIA: MINIERA CANANEA A SONORA

La miniera a cielo aperto di Cananea è una delle più grandi miniere di rame del mondo, essa ha prodotto del 2006 164000 tonnellate di rame. Il rame e l'oro vengono estratti da rocce di porfido formatosi durante la risalita di magma da strati profondi. Durante questa risalita il raffreddamento che ne segue permette la cristallizzazione del magma in granito. Le fratture che fanno seguito a questa cristallizzazione permisero la circolazione di fluidi caldi. Questa alterazione idrotermale è la causa della deposizione di minerali come il rame e l'oro nella roccia primaria. La miniera a cielo aperto viene scavata con una serie concentrica di anelli che scendono nel sottosuolo e permettono l'asportazione di enormi masse di roccia. Sul fondo della miniera si trova un lago. L'acqua del lago viene pompata e portata in un bacino di decantazione, dove attraverso l'evaporazione si concentra il minerale che poi viene asportato per la successiva lavorazione.

OMC 

L'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), conosciuta anche con il nome inglese di World Trade Organization(WTO), è un'organizzazione internazionale creata allo scopo di supervisionare numerosi accordi commerciali tra gli stati membri. Vi aderiscono, al 3 marzo 2013, 159 Paesi a cui si aggiungono 25 Paesi osservatori[3], che rappresentano circa il 97% del commercio mondiale di beni e servizi.[4] Risoluzione delle controversie internazionali[modifica | modifica sorgente] Al pari delle altre organizzazioni internazionali, l'OMC non ha un effettivo e significativo potere per sostenere le proprie decisioni nelle dispute fra paesi membri: qualora un paese membro non si conformi ad una delle decisioni dell'organo di risoluzione delle controversie internazionali costituito in ambito WTO quest'ultimo ha la possibilità di autorizzare delle "misure ritorsive" da parte del paese ricorrente ma manca della possibilità di adottare ulteriori azioni ritorsive; ciò comporta, ad esempio, che i paesi ad economia maggiormente sviluppata e solida possono sostanzialmente ignorare i reclami avanzati dai paesi economicamente più deboli dal momento che a questi ultimi semplicemente mancano i mezzi per poter porre in atto delle "misure ritorsive" realmente efficaci nei confronti di un'economia fortemente più solida che obblighino quindi il paese verso il quale il reclamo è indirizzato a cambiare le proprie politiche; un esempio di tale situazione è rintracciabile nella controversia DS 267 che ha dichiarato illegali i sussidi statunitensi alla produzione del cotone.

Uruguay Round

 L’ultimo e più importante di tali negoziati, l’Uruguay Round (il nome di tale "round" deriva dal fatto che i negoziati iniziarono, il 20 settembre 1986, a Punta del Este in Uruguay) è stato una vera e propria maratona di trattative che ha coinvolto 123 paesi ed è durata sette anni e mezzo (tra il 1986 ed il 1994), terminando con la firma degli accordi di Marrakech, il 15 aprile 1994, con la creazione del WTO e la ratifica di tre accordi principali: GATT (General Agreement on Tariffs and Trade): Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio GATS (General Agreement on Trade in Services): Accordo generale sul commercio dei servizi TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights): Aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale Tali accordi contengono le definizioni e i principi generali, rispettivamente, nei campi del commercio e delle tariffe (sui prodotti), dei servizi e della proprietà intellettuale (brevetti, marchi, copyright ed invenzioni industriali). A seguito dei negoziati sono poi stati ratificati, tra i paesi partecipanti, diversi altri accordi (una cinquantina) legati a settori specifici e sono stati stabiliti gli impegni dei singoli paesi per permettere ai prodotti stranieri di accedere ai rispettivi mercati: nell'ambito del GATT si tratta di impegni vincolanti (binding commitments) sulle tariffe doganali delle merci, per i prodotti agricoli gli accordi hanno riguardato le limitazioni relative ai prezzi ed alle quote di importazione, mentre nell'ambito del GATS, gli impegni riguardano una lista di eccezioni, cioè di servizi per i quali i paesi dichiarano di non applicare il principio di non discriminazione della "nazione più favorita". Mentre nell'ambito dell'accordo GATT del 1947 era contemplata l'esistenza di un complesso sistema di quote di import-export e di sussidi, con la nascita del WTO e l'entrata in vigore della nuova serie di accordi tali "distorsioni" al libero mercato sono state eliminate: la nuova normativa introdotta con l'Uruguay Round impone, infatti, come unica limitazione possibile quella tariffaria, nonché la graduale riduzione di tutti i sussidi alla produzione interna ed all’esportazione. Riguardo ai brevetti sono stati approvati, in particolare, due articoli, rispettivamente relativi all'importazione forzata ed alla registrazione parallela che affermano il diritto dei paesi privi di copertura finanziaria ad autorizzare l'importazione senza il pagamento di copyright o, in caso di rifiuto dei detentori del brevetto, a produrre in deroga (senza il pagamento di royalties) i prodotti o servizi ritenuti necessari: tale secondo articolo è stato invocato per la produzione di farmaci costosi e coperti da brevetto (soprattutto vaccini) che non erano nelle possibilità economiche di alcuni paesi.

domenica 12 gennaio 2014

POESIE UNGARETTI

Fonte G. Ungaretti, Vita di un uomo, ed. Mondadori

L’Allegria (1931) – Allegria di naufragi (1919)

Il porto sepolto
Mariano il 29 giugno 1916

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972

Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano,1972

I fiumi
Cotici, il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’incosapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,
1972

Sono una creatura
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972

San Martino del Carso
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,
1972

Commiato
Locvizza il 2 ottobre 1916

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,
1972

Mattina
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

M’illumino
d’immenso

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972

Natale
Napoli il 26 dicembre 1916

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972

Allegria di naufragi
Versa il 14 febbraio 1917

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano,
1972

Dormire
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

Vorrei imitare
questo paese
adagiato
nel suo camice
di neve

Da:Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,
1972

Sentimento del tempo (1933)

L’isola
1925

A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s’inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch’erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell’acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch’era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
Errando, giunse a un prato ove
L’ombra negli occhi s’addensava
Delle vergini come
Sera appiè degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s’erano appisolate
Sotto il liscio tepore,
Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre.

Da:Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1972

Di luglio
1931

Quando su ci si butta lei,
Si fa d’un triste colore di rosa
Il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s’ostina, è l’implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l’estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

Da:Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, i n Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori,
Milano, 1972

D’agosto
1925

Avido lutto ronzante nei vivi,
Monotono altomare,
Ma senza solitudine,
Repressi squilli da prostrate messi,
Estate,
Sino ad orbite ombrate spolpi selci,
Risvegli ceneri nei colossei...
Quale Erebo t’urlò?

Da:Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, in Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni,
Milano, Rizzoli, 197235

La madre
1930

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

Da:Giuseppe Ungaretti, Sentimento del Tempo, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli, 1972

Il Dolore (1947)

Se tu mio fratello

Se tu mi rivenissi incontro vivo,
Con la mano tesa,
Ancora potrei,
Di nuovo in uno slancio d’oblio, stringere,
Fratello, una mano.
Ma di te, di te più non mi circondano
Che sogni, barlumi,
I fuochi senza fuoco del passato.
La memoria non svolge che le immagini
E a me stesso io stesso
Non sono già più
Che l’annientante nulla del pensiero.

Da:Giuseppe Ungaretti, Il Dolore, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,
1972

Non gridate più
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.

Da:Giuseppe Ungaretti, Il Dolore, i n Vita di un uomo, a cura di L. Piccioni, Milano, Rizzoli,Op. Grande biblioteca della letteratura italiana

Giorno per giorno
1940-1946

"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...

2.

Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...

3.

Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...

4.

Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...

7.

In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...

8.

E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...

10.

Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell'aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..

11.

Passa la rondine e con essa estate,
E anch'io, mi dico, passerò...
Ma resti dell'amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall'inferno arrivo a qualche quiete...

12.

Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbattè la tenera
Forma e la premurosa
Carità d'una voce mi consuma...

13.

Non più furori reca a me l'estate,
Nè primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...

15.

Rievocherò senza rimorso sempre
Un'incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: "Un'anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa..."

Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?

17.

Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: "Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l'aurora e intatto giorno"

ALESSANDRIA D'EGITTO TRA UNGARETTI E KAVAFIS


Fonte Treccani on line
Ungaretti, Giuseppe

1888 nasce ad Alessandria d'Egitto, da genitori lucchesi, là emigrati, perché il padre Antonio lavorava come sterratore al canale di Suez.
Frequenta l'École Suisse Jacot e si forma sui classici francesi: Baudelaire e Mallarmé soprattutto. Stringe amicizia con Enrico Pea, con Kavàfis e il gruppo di "Grammata", una rivista letteraria di Alessandria d’Egitto. Così ricorda Ungaretti: «[...] il primo gruppo di letterati cui m'accostai, miei coetanei, fu quel gruppo del quale era organo la rivista "Grammata". Scendevamo tutte le sere insieme al caffè, e fra noi veniva anche Costantino Cavafy, un poeta che oggi la critica d'ogni dove annovera tra i quattro o cinque veri del Ventesimo secolo. Cavafy aveva venticinque anni almeno più del più vecchio di noi che non ne aveva più di diciotto. Mi furono d'insegnamento ineguagliabile le conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel suo trimillenario mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà».
1912 Si sposta a Parigi, si iscrive alla Sorbona; segue i corsi di Bergson al Collège de France. Si lega ai futuristi italiani a Parigi - le sue prime poesie appariranno nel 1915 su Lacerba, una rivista di letteratura, arte e politica, che G. Papini e A. Soffici fondarono a Firenze nel 1913, dopo essersi staccati da La Voce e uscì fino all'entrata in guerra dell’Italia (1915).
1914 rientra in Italia e si arruola come volontario, soldato semplice, sul Carso.
1916 Nasce Il Porto Sepolto, stampato a Udine. Finita la guerra, pubblica, per impulso di Papini, Allegria di naufragi, presso Vallecchi, 1919. Sposa Jeanne Dupoix, 1920.
1921 si trasferisce a Roma una Roma barocca e cattolica, che fa da sfondo al Sentimento del Tempo, 1933.
1936 si stabilisce a San Paolo del Brasile, ove gli è stata offerta la cattedra di Lingua e letteratura italiana presso l'università.
1937 muore il fratello, nel 1939 il figlio Antonietto;
1942 rientra in Italia, ove è nominato "per chiara fama" titolare della prima cattedra di Letteratura italiana contemporanea presso l'università di Roma.
1947 Dai lutti privati e collettivi nasce l'esperienza del Dolore.
Dalla vicenda di barbarie della seconda guerra mondiale sorge più alta l'esigenza di raccogliere, nella meditazione dei classici, la memoria della dignità e della tragedia di essere uomini: saranno le mirabili traduzioni dei 40 Sonetti di Shakespeare, delle Visioni di Blake, della Fedra di Racine, delle poesie di Gongora e Mallarmé, dell'Eneide e delle "Favole indie della genesi". Potrà così compiersi il viaggio e l'ultima 'mira': La Terra Promessa, 1950 e Il Taccuino del vecchio, 1960; rielabora poi, 'a lume di fantasia', le prose d'arte e di viaggio: Il Deserto e dopo, 1961. Raffinato esercizio di autoesegesi e di poetica sono le quattro lezioni, tenute nel 1964 alla Columbia University, New York, sulla Canzone.
1970 Muore a Milano nella notte fra il 1° e il 2 giugno 1970, già accolti, a Capodanno, "Gli scabri messi emersi dall'abisso", in una poesia che sempre "torna presente pietà" (L'impietrito e il velluto). L'opera di U. è oggi riunita nei volumi Vita d'un uomo. Tutte le poesie (a cura di L. Piccioni, 1969).

Fonte: http://forum.corriere.it/leggere_e_scrivere/18-10-2013/konstantinos-kavafis-2-2417499.html

Paolo Fai venerdì, 18 ottobre 2013


Konstantinos Kavafis 1

Un poeta europeo di primissimo piano - di cui quest'anno cadono due anniversari tondi, i 150 anni della nascita e gli 80 della morte, è Konstantinos Kavafis, la cui nascita avvenne il 29 aprile del 1863 ad Alessandria d'Egitto, nono ed ultimo figlio di genitori greci originari di Istanbul. Ho scritto non a caso europeo, perché, pur essendo Alessandria la capitale (culturale) dell'Egitto e quindi propriamente una città africana [...] era una città decisamente europea o, forse meglio, transcontinentale e multiculturale. Ad attirare romanzieri, poeti, artisti europei fino alla metà del '900, era stata indubbiamente la bellezza di una città che i pascià ottomani, un secolo prima, avevano riempito di ville di stile italiano, palazzi art déco, magnifici boulevard, ma anche di teatri, locali notturni, ristoranti, negozi, nel tentativo di modernizzare l'Egitto. Non era però solo una città che accoglieva artisti e intellettuali, tanto è vero che Kavafis era figlio di una famiglia appartenente all'agiata borghesia commerciale. Come lo erano altri personaggi, per esempio Marinetti e Ungaretti, nati rispettivamente nel 1876 e nel 1888, figli di italiani trasferitisi lì per lavoro e che in quello straordinario crogiuolo di etnie e culture diverse diedero vita ad una delle più esaltanti stagioni della cultura del Novecento.
In quest'Alessandria cosmopolita, che sarebbe piaciuta al suo fondatore, quell'inimitabile visionario che fu Alessandro Magno, Kavafis ebbe la ventura di nascere. Abitò non lontano dal bar Pastroudis, luogo di ritrovo di tutta l'intellighenzia della città, da Durrell a Forster a Ungaretti, da Somerset Maugham a Noel Coward, sopra un bordello all'angolo con una chiesa, sicché poté scrivere: «Dove potrei vivere meglio di così, il bordello sfama la carne e la chiesa perdona i peccati». 
Prima di passare al vaglio della poesia kavafiana, mi piace unire nel ricordo del poeta di lingua neogreca il nostro Ungaretti, la cui adolescenza fu segnata dalla libera scelta dei poeti da leggere e studiare, ma anche delle persone da frequentare. Il giovane Ungaretti tutte le sere va con il suo compagno di scuola Moammed Sceab in un caffè-latteria del Boulevard de Ramleh dove consuma uno yogurt alla turca, seduto allo stesso tavolo del grande poeta di Alessandria Costantino Kavafis e dei redattori di una rivista. Ungaretti ne traccerà un nitido ricordo in un appunto [...]:
«[...] il primo gruppo di letterati cui m'accostai, miei coetanei, fu quel gruppo del quale era organo la rivista "Grammata". Scendevamo tutte le sere insieme al caffè, e fra noi veniva anche Costantino Cavafy, un poeta che oggi la critica d'ogni dove annovera tra i quattro o cinque veri del Ventesimo secolo. Cavafy aveva venticinque anni almeno più del più vecchio di noi che non ne aveva più di diciotto. Mi furono d'insegnamento ineguagliabile le conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel suo trimillenario mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà».
La vita di Kavafis non si protrasse oltre il 1933, quando fu stroncato da un tumore alla gola per il quale era stato operato l'anno precedente. Tuttavia, la sua produzione poetica, che comincia già nel 1891, ricade abbondantemente entro quel termine che abbiamo fissato, cioè il 1914. Il corpus poetico di Kavafis non è ampio, tutt'altro. Come ha scritto uno dei maggiori studiosi e traduttori di Kavafis in Italia, Filippo Maria Pontani, «la vita e l'arte di Kavafis sono consegnate al monumentum esiguo ed esauriente di 154 poesie. [...]. L'immagine del poeta è in tutte e in ciascuna e non può emergere da una lettura antologica. Con molta acutezza Giorgio Seferis affermò l'esigenza di considerare l'opera di Kavafis come un unico e unitario "work in progress" suggellato dalla morte. 
Quest'opera fa di Kavafis uno dei maggiori poeti del primo trentennio del Novecento. Egli fu ed è un isolato per l'inconfondibile autenticità della sua fisionomia» che impedisce di ingabbiarlo in qualsiasi scuola o indirizzo poetico del Novecento. «Autore d'una poesia nutrita d'innumeri linfe culturali, Kavafis attinse la solitudine del genio, irriferibile a moduli diversi dal proprio. [...]. E si direbbe che anche gli aspetti del maledetto, i torbidi d'una tempra sessuale e passionale a cui la comune coscienza ripugna trovino nella fedeltà alle sue "voci" segrete un sorprendente riscatto: anche al di là della catarsi sempre attinta dell'arte, è qui un'esemplare emozionante moralità». 

Una sua poesia del 1913, "Quanto più puoi":

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? Almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell'assiduo contatto della gente,
nell'assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l'esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.


Altre poesie di Kavafis:

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sara` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va in molte citta` egizie
impara una quantita` di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avra` deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Candele

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.

Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.

Non le voglio vedere: m'accora il loro aspetto,
la memoria m'accora il loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.

Non mi voglio voltare, ch'io non scorga, in un brivido,
come s'allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

Brame

Corpi belli di morti, che vecchiezza non colse:
li chiusero, con lacrime, in mausolei preziosi,
con gelsomini ai piedi e al capo rose.
Tali sono le brame che trascorsero inadempiute,
senza voluttuose notti,
senza mattini luminosi.

Monotonia

Segue a un giorno monotono un nuovo
giorno, monotono, immutabile. Accadranno
le stesse cose, accadranno di nuovo.
Tutti i momenti uguali vengono, se ne vanno.
Un mese passa e un altro mese accompagna.
Ciò che viene s'immagina senza calcoli strani:
è l'ieri, con la nota noia stagna.
E il domani non sembra più domani.

Fonte: http://semplicementeuomo.myblog.it/2008/06/21/poesia-termopili-di-costantino-kavafis/

Θερμοπύλες
di Kostantinos Kavafis

Θερμοπύλες
Τιμή σ’ εκείνους όπου στην ζωή των
όρισαν και φυλάγουν Θερμοπύλες.
Ποτέ από το χρέος μη κινούντες·
δίκαιοι κ’ ίσιοι σ’ όλες των τες πράξεις,
αλλά με λύπη κιόλας κ’ ευσπλαχνία·
γενναίοι οσάκις είναι πλούσιοι, κι όταν
είναι πτωχοί, πάλ’ εις μικρόν γενναίοι,
πάλι συντρέχοντες όσο μπορούνε·
πάντοτε την αλήθεια ομιλούντες,
πλην χωρίς μίσος για τους ψευδομένους.
Και περισσότερη τιμή τους πρέπει
όταν προβλέπουν (και πολλοί προβλέπουν)
πως ο Εφιάλτης θα φανεί στο τέλος,
κ’ οι Μήδοι επι τέλους θα διαβούνε.
Κωνσταντίνος Π. Καβάφης (1903)
Onore a coloro che nella vita
hanno scelto le proprie Termopili e vi stanno a guardia.

Mai distogliendosi dal proprio dovere
Giusti e retti in ogni azione,
pur con un senso di pietà e di compassione;
generosi quando ricchi, e quando
poveri, generosi ancora un po’.
Ancora aiutando, per quanto loro possibile,
sempre dicendo il vero,
senza neppure odio nei confronti di chi mente.

Ed ancor maggiore onore gli è dovuto
Quando prevedano (e molti lo prevedono)
Che infine spunterà un Efialte
E che i Medi, alla fine, passeranno.


                                    Costantino Kavafis (1903)




Fonte Wikipedia:
ENRICO PEA
Biografia

Dopo un'infanzia non facile, vissuta con il nonno, persona violenta e generosa, saggia e crudele insieme, entra in un convento di frati vicino a Pisa, ma a causa di un difetto alla vista non viene ammesso; a sedici anni s’imbarca come mozzo e raggiunge l'Egitto. Nella città di Alessandria intraprende commerci vari e fonda la "Baracca rossa", trasformando la sua soffitta in un luogo in cui si ritrovava con gli amici. È lì che impara a leggere e a scrivere, formandosi soprattutto sulla Bibbia tradotta da Giovanni Diodati (Bibbia protestante e non cattolica e per questo censurata). Nella prima decade del secolo, conosce il giovane Ungaretti, la cui famiglia aveva origini lucchesi, e lo ospita nella sua baracca, assieme a ogni sorta di amici transfughi della vita, bulgari, francesi, greci e italiani, di tendenze socialiste e anarchiche. È grazie a Ungaretti che Pea si avvicina alla letteratura.
È proprio il poeta Ungaretti a far stampare il suo primo libro – Fole, racconti di vita marinara – a un editore italiano, e in seguito a farlo conoscere ai suoi amici della rivista La Voce. Il sodalizio con Ungaretti dura molto a lungo e lo porta a ricordarlo con la preziosa opera Vita in Egitto del 1947, evocando gli anni vissuti nella baracca rossa. Dopo la Grande Guerra, torna in Italia e si stabilisce a Viareggio, dove dirige per molti anni il teatro Politeama da lui stesso ideato; nella sua intensa attività d'impresario riattiva la tradizione dei Maggi (rappresentazioni popolari caratteristiche del territorio lucchese, apuano e di una parte dell'Appennino settentrionale) e allestisce un suo Giuda, che scandalizza per il contenuto blasfemo. Avvicinatosi alla fede cristiana, tenta in seguito di dar vita a un nuovo genere di dramma sacro, La passione di Cristo. Dopo la seconda guerra mondiale abita per lunghi periodi anche a Lucca dove frequenta il famoso caffè letterario Di Simo (già Caselli), già noto ai primi del secolo per la presenza di intellettuali quali Giovanni Pascoli, Giacomo Puccini e molti altri.
Nel 1954, con un gruppo di intellettuali, tra cui Marco Carpena e Enrico Righetti, dette vita al "Premio Lerici" per un'opera di poesia edita. Nel 1958, alla morte del fondatore, il premio venne chiamato "Premio LericiPea" e con questo nome è tuttora assegnato ogni anno nella città ligure sul mare.[1]
La vera vocazione di Pea rimane la narrativa, come dimostrano il suo primo racconto – Moscardino (1922), rievocazione dell'infanzia sullo sfondo della sua terra toscana – e la Maremmana (1938, premio Viareggio), dove emergono dei sentimenti rappresentati con una singolare forza espressiva. Nel 2008 è stata in Italia ristampata gran parte della produzione dell'Autore, dopo anni di carenza.