domenica 12 gennaio 2014

ALESSANDRIA D'EGITTO TRA UNGARETTI E KAVAFIS


Fonte Treccani on line
Ungaretti, Giuseppe

1888 nasce ad Alessandria d'Egitto, da genitori lucchesi, là emigrati, perché il padre Antonio lavorava come sterratore al canale di Suez.
Frequenta l'École Suisse Jacot e si forma sui classici francesi: Baudelaire e Mallarmé soprattutto. Stringe amicizia con Enrico Pea, con Kavàfis e il gruppo di "Grammata", una rivista letteraria di Alessandria d’Egitto. Così ricorda Ungaretti: «[...] il primo gruppo di letterati cui m'accostai, miei coetanei, fu quel gruppo del quale era organo la rivista "Grammata". Scendevamo tutte le sere insieme al caffè, e fra noi veniva anche Costantino Cavafy, un poeta che oggi la critica d'ogni dove annovera tra i quattro o cinque veri del Ventesimo secolo. Cavafy aveva venticinque anni almeno più del più vecchio di noi che non ne aveva più di diciotto. Mi furono d'insegnamento ineguagliabile le conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel suo trimillenario mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà».
1912 Si sposta a Parigi, si iscrive alla Sorbona; segue i corsi di Bergson al Collège de France. Si lega ai futuristi italiani a Parigi - le sue prime poesie appariranno nel 1915 su Lacerba, una rivista di letteratura, arte e politica, che G. Papini e A. Soffici fondarono a Firenze nel 1913, dopo essersi staccati da La Voce e uscì fino all'entrata in guerra dell’Italia (1915).
1914 rientra in Italia e si arruola come volontario, soldato semplice, sul Carso.
1916 Nasce Il Porto Sepolto, stampato a Udine. Finita la guerra, pubblica, per impulso di Papini, Allegria di naufragi, presso Vallecchi, 1919. Sposa Jeanne Dupoix, 1920.
1921 si trasferisce a Roma una Roma barocca e cattolica, che fa da sfondo al Sentimento del Tempo, 1933.
1936 si stabilisce a San Paolo del Brasile, ove gli è stata offerta la cattedra di Lingua e letteratura italiana presso l'università.
1937 muore il fratello, nel 1939 il figlio Antonietto;
1942 rientra in Italia, ove è nominato "per chiara fama" titolare della prima cattedra di Letteratura italiana contemporanea presso l'università di Roma.
1947 Dai lutti privati e collettivi nasce l'esperienza del Dolore.
Dalla vicenda di barbarie della seconda guerra mondiale sorge più alta l'esigenza di raccogliere, nella meditazione dei classici, la memoria della dignità e della tragedia di essere uomini: saranno le mirabili traduzioni dei 40 Sonetti di Shakespeare, delle Visioni di Blake, della Fedra di Racine, delle poesie di Gongora e Mallarmé, dell'Eneide e delle "Favole indie della genesi". Potrà così compiersi il viaggio e l'ultima 'mira': La Terra Promessa, 1950 e Il Taccuino del vecchio, 1960; rielabora poi, 'a lume di fantasia', le prose d'arte e di viaggio: Il Deserto e dopo, 1961. Raffinato esercizio di autoesegesi e di poetica sono le quattro lezioni, tenute nel 1964 alla Columbia University, New York, sulla Canzone.
1970 Muore a Milano nella notte fra il 1° e il 2 giugno 1970, già accolti, a Capodanno, "Gli scabri messi emersi dall'abisso", in una poesia che sempre "torna presente pietà" (L'impietrito e il velluto). L'opera di U. è oggi riunita nei volumi Vita d'un uomo. Tutte le poesie (a cura di L. Piccioni, 1969).

Fonte: http://forum.corriere.it/leggere_e_scrivere/18-10-2013/konstantinos-kavafis-2-2417499.html

Paolo Fai venerdì, 18 ottobre 2013


Konstantinos Kavafis 1

Un poeta europeo di primissimo piano - di cui quest'anno cadono due anniversari tondi, i 150 anni della nascita e gli 80 della morte, è Konstantinos Kavafis, la cui nascita avvenne il 29 aprile del 1863 ad Alessandria d'Egitto, nono ed ultimo figlio di genitori greci originari di Istanbul. Ho scritto non a caso europeo, perché, pur essendo Alessandria la capitale (culturale) dell'Egitto e quindi propriamente una città africana [...] era una città decisamente europea o, forse meglio, transcontinentale e multiculturale. Ad attirare romanzieri, poeti, artisti europei fino alla metà del '900, era stata indubbiamente la bellezza di una città che i pascià ottomani, un secolo prima, avevano riempito di ville di stile italiano, palazzi art déco, magnifici boulevard, ma anche di teatri, locali notturni, ristoranti, negozi, nel tentativo di modernizzare l'Egitto. Non era però solo una città che accoglieva artisti e intellettuali, tanto è vero che Kavafis era figlio di una famiglia appartenente all'agiata borghesia commerciale. Come lo erano altri personaggi, per esempio Marinetti e Ungaretti, nati rispettivamente nel 1876 e nel 1888, figli di italiani trasferitisi lì per lavoro e che in quello straordinario crogiuolo di etnie e culture diverse diedero vita ad una delle più esaltanti stagioni della cultura del Novecento.
In quest'Alessandria cosmopolita, che sarebbe piaciuta al suo fondatore, quell'inimitabile visionario che fu Alessandro Magno, Kavafis ebbe la ventura di nascere. Abitò non lontano dal bar Pastroudis, luogo di ritrovo di tutta l'intellighenzia della città, da Durrell a Forster a Ungaretti, da Somerset Maugham a Noel Coward, sopra un bordello all'angolo con una chiesa, sicché poté scrivere: «Dove potrei vivere meglio di così, il bordello sfama la carne e la chiesa perdona i peccati». 
Prima di passare al vaglio della poesia kavafiana, mi piace unire nel ricordo del poeta di lingua neogreca il nostro Ungaretti, la cui adolescenza fu segnata dalla libera scelta dei poeti da leggere e studiare, ma anche delle persone da frequentare. Il giovane Ungaretti tutte le sere va con il suo compagno di scuola Moammed Sceab in un caffè-latteria del Boulevard de Ramleh dove consuma uno yogurt alla turca, seduto allo stesso tavolo del grande poeta di Alessandria Costantino Kavafis e dei redattori di una rivista. Ungaretti ne traccerà un nitido ricordo in un appunto [...]:
«[...] il primo gruppo di letterati cui m'accostai, miei coetanei, fu quel gruppo del quale era organo la rivista "Grammata". Scendevamo tutte le sere insieme al caffè, e fra noi veniva anche Costantino Cavafy, un poeta che oggi la critica d'ogni dove annovera tra i quattro o cinque veri del Ventesimo secolo. Cavafy aveva venticinque anni almeno più del più vecchio di noi che non ne aveva più di diciotto. Mi furono d'insegnamento ineguagliabile le conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel suo trimillenario mutarsi e permanere, né la nostra Alessandria, crogiuolo di civiltà».
La vita di Kavafis non si protrasse oltre il 1933, quando fu stroncato da un tumore alla gola per il quale era stato operato l'anno precedente. Tuttavia, la sua produzione poetica, che comincia già nel 1891, ricade abbondantemente entro quel termine che abbiamo fissato, cioè il 1914. Il corpus poetico di Kavafis non è ampio, tutt'altro. Come ha scritto uno dei maggiori studiosi e traduttori di Kavafis in Italia, Filippo Maria Pontani, «la vita e l'arte di Kavafis sono consegnate al monumentum esiguo ed esauriente di 154 poesie. [...]. L'immagine del poeta è in tutte e in ciascuna e non può emergere da una lettura antologica. Con molta acutezza Giorgio Seferis affermò l'esigenza di considerare l'opera di Kavafis come un unico e unitario "work in progress" suggellato dalla morte. 
Quest'opera fa di Kavafis uno dei maggiori poeti del primo trentennio del Novecento. Egli fu ed è un isolato per l'inconfondibile autenticità della sua fisionomia» che impedisce di ingabbiarlo in qualsiasi scuola o indirizzo poetico del Novecento. «Autore d'una poesia nutrita d'innumeri linfe culturali, Kavafis attinse la solitudine del genio, irriferibile a moduli diversi dal proprio. [...]. E si direbbe che anche gli aspetti del maledetto, i torbidi d'una tempra sessuale e passionale a cui la comune coscienza ripugna trovino nella fedeltà alle sue "voci" segrete un sorprendente riscatto: anche al di là della catarsi sempre attinta dell'arte, è qui un'esemplare emozionante moralità». 

Una sua poesia del 1913, "Quanto più puoi":

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? Almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell'assiduo contatto della gente,
nell'assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l'esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che divenga una straniera uggiosa.


Altre poesie di Kavafis:

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sara` questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va in molte citta` egizie
impara una quantita` di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avra` deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Candele

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.

Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.

Non le voglio vedere: m'accora il loro aspetto,
la memoria m'accora il loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.

Non mi voglio voltare, ch'io non scorga, in un brivido,
come s'allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

Brame

Corpi belli di morti, che vecchiezza non colse:
li chiusero, con lacrime, in mausolei preziosi,
con gelsomini ai piedi e al capo rose.
Tali sono le brame che trascorsero inadempiute,
senza voluttuose notti,
senza mattini luminosi.

Monotonia

Segue a un giorno monotono un nuovo
giorno, monotono, immutabile. Accadranno
le stesse cose, accadranno di nuovo.
Tutti i momenti uguali vengono, se ne vanno.
Un mese passa e un altro mese accompagna.
Ciò che viene s'immagina senza calcoli strani:
è l'ieri, con la nota noia stagna.
E il domani non sembra più domani.

Fonte: http://semplicementeuomo.myblog.it/2008/06/21/poesia-termopili-di-costantino-kavafis/

Θερμοπύλες
di Kostantinos Kavafis

Θερμοπύλες
Τιμή σ’ εκείνους όπου στην ζωή των
όρισαν και φυλάγουν Θερμοπύλες.
Ποτέ από το χρέος μη κινούντες·
δίκαιοι κ’ ίσιοι σ’ όλες των τες πράξεις,
αλλά με λύπη κιόλας κ’ ευσπλαχνία·
γενναίοι οσάκις είναι πλούσιοι, κι όταν
είναι πτωχοί, πάλ’ εις μικρόν γενναίοι,
πάλι συντρέχοντες όσο μπορούνε·
πάντοτε την αλήθεια ομιλούντες,
πλην χωρίς μίσος για τους ψευδομένους.
Και περισσότερη τιμή τους πρέπει
όταν προβλέπουν (και πολλοί προβλέπουν)
πως ο Εφιάλτης θα φανεί στο τέλος,
κ’ οι Μήδοι επι τέλους θα διαβούνε.
Κωνσταντίνος Π. Καβάφης (1903)
Onore a coloro che nella vita
hanno scelto le proprie Termopili e vi stanno a guardia.

Mai distogliendosi dal proprio dovere
Giusti e retti in ogni azione,
pur con un senso di pietà e di compassione;
generosi quando ricchi, e quando
poveri, generosi ancora un po’.
Ancora aiutando, per quanto loro possibile,
sempre dicendo il vero,
senza neppure odio nei confronti di chi mente.

Ed ancor maggiore onore gli è dovuto
Quando prevedano (e molti lo prevedono)
Che infine spunterà un Efialte
E che i Medi, alla fine, passeranno.


                                    Costantino Kavafis (1903)




Fonte Wikipedia:
ENRICO PEA
Biografia

Dopo un'infanzia non facile, vissuta con il nonno, persona violenta e generosa, saggia e crudele insieme, entra in un convento di frati vicino a Pisa, ma a causa di un difetto alla vista non viene ammesso; a sedici anni s’imbarca come mozzo e raggiunge l'Egitto. Nella città di Alessandria intraprende commerci vari e fonda la "Baracca rossa", trasformando la sua soffitta in un luogo in cui si ritrovava con gli amici. È lì che impara a leggere e a scrivere, formandosi soprattutto sulla Bibbia tradotta da Giovanni Diodati (Bibbia protestante e non cattolica e per questo censurata). Nella prima decade del secolo, conosce il giovane Ungaretti, la cui famiglia aveva origini lucchesi, e lo ospita nella sua baracca, assieme a ogni sorta di amici transfughi della vita, bulgari, francesi, greci e italiani, di tendenze socialiste e anarchiche. È grazie a Ungaretti che Pea si avvicina alla letteratura.
È proprio il poeta Ungaretti a far stampare il suo primo libro – Fole, racconti di vita marinara – a un editore italiano, e in seguito a farlo conoscere ai suoi amici della rivista La Voce. Il sodalizio con Ungaretti dura molto a lungo e lo porta a ricordarlo con la preziosa opera Vita in Egitto del 1947, evocando gli anni vissuti nella baracca rossa. Dopo la Grande Guerra, torna in Italia e si stabilisce a Viareggio, dove dirige per molti anni il teatro Politeama da lui stesso ideato; nella sua intensa attività d'impresario riattiva la tradizione dei Maggi (rappresentazioni popolari caratteristiche del territorio lucchese, apuano e di una parte dell'Appennino settentrionale) e allestisce un suo Giuda, che scandalizza per il contenuto blasfemo. Avvicinatosi alla fede cristiana, tenta in seguito di dar vita a un nuovo genere di dramma sacro, La passione di Cristo. Dopo la seconda guerra mondiale abita per lunghi periodi anche a Lucca dove frequenta il famoso caffè letterario Di Simo (già Caselli), già noto ai primi del secolo per la presenza di intellettuali quali Giovanni Pascoli, Giacomo Puccini e molti altri.
Nel 1954, con un gruppo di intellettuali, tra cui Marco Carpena e Enrico Righetti, dette vita al "Premio Lerici" per un'opera di poesia edita. Nel 1958, alla morte del fondatore, il premio venne chiamato "Premio LericiPea" e con questo nome è tuttora assegnato ogni anno nella città ligure sul mare.[1]
La vera vocazione di Pea rimane la narrativa, come dimostrano il suo primo racconto – Moscardino (1922), rievocazione dell'infanzia sullo sfondo della sua terra toscana – e la Maremmana (1938, premio Viareggio), dove emergono dei sentimenti rappresentati con una singolare forza espressiva. Nel 2008 è stata in Italia ristampata gran parte della produzione dell'Autore, dopo anni di carenza.




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